L'etica LIBERA la bellezza:
21 marzo 2009, XIV Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie
Una testimonianza. Quella di una giovane che vuol dire la sua su un tema assai scottante, soprattutto per il Sud del nostro Paese, la mafia. E ci racconta le emozioni sperimentate in una giornata di sole a Casal di Principe, il 19 marzo, mentre si ricorda, a 15 anni dalla morte, don Peppino Diana ("uomo libero e liberatore, ucciso dalla mafia") in occasione della "XIV Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie", celebrata poi il 21 marzo. E anche della manifestazione sul Golfo di Napoli, avvenuta due giorni dopo, la giovane ci parla, senza celare sentimenti di rabbia e nello stesso di speranza per un futuro che lei stesso spera migliore. Una testimonianza che deve far riflettere noi educatori, noi insegnanti: i giovani, forse, hanno bisogno proprio di questo: una posizione chiara e decisa di noi adulti di fronte a quelle ingiustizie che spesso invece ci vedono silenziosi.
19 marzo 2009, mattina assolata e fredda. Così ci accoglie la Campania, così si apre davanti ai nostri occhi Casal di Principe. Un paese piccolo, circondato da campi brulli. Un corteo, piccola anticipazione di quello che avrà luogo due giorni dopo, per salutare, a 15 anni dalla sua morte, don Peppino Diana, parroco del paese, che, come le altre vittime degli sporchi tentacoli mafiosi, aveva scelto di essere libero e liberatore. Un corteo, tantissimi giovani, cha avanzano in una città fatta di tanto cemento e poco verde, fra case con altissimi muri di cinta, cancelli degni delle migliori fortificazioni militari e grate alle finestre. Blindato. Un corteo, che tocca un paese in cui, fino all'anno precedente, all'incedere dei passi antimafia, sbarrava porte e finestre e che quel giorno invece le ha aperte...forse solo per curiosità, ma è già qualcosa. Davanti al cimitero, le parole dei familiari di padre Diana, le urla indignate di Don Luigi Ciotti, guida fondamentale e portavoce della resistenza alla mafia: "Casalesi è il nome di un popolo, non quello di un clan mafioso". Il grido di una ragazza della mia età, il grido di quella parte di Casal di Principe che non accetta le radici mafiose che si sono attaccate al cuore di questo paese di periferia, che vuole rigettare questo cancro depravante. Ma ancora troppo silenzio nelle strade di Casal di Principe, ancora troppa paura, troppa omertà, testimoniata dall'assenza dei casalesi al concerto tenuto la sera stessa in piazza. Si sa, come ogni cancro la mafia è dura a morire. E l'esercito gira per il paese, con blindati simili a quelli che si vedono nei servizi televisivi sulle zone di guerra, fra lo stupore di chi non è abituato a vedere decine di uomini in mimetica girare per le piazze cittadine e la tranquillità dei pochi casalesi presenti in corteo che ci spiegano: "Oggi ce n'è qualcuno in più, per la sicurezza, ma loro restano qui ogni giorno". L'esercito contro la mafia, quando basterebbe semplicemente ripudiare l'omertà.
21 marzo 2009, il meraviglioso lungomare che si affaccia sul golfo di Napoli, lo splendido sole del sud e un freddo tagliente che colpisce le ginocchia nude di noi scout, numerosissimi, ma anche i visi di tutti gli altri presenti. 150 mila anime in marcia, in sottofondo, fra i tamburi, le chitarre, i canti, vengono letti e riletti i nomi delle oltre 900 vittime di mafia. Qualche nome fa sussultare un po' di più i cuori di noi siciliani presenti...Giovanni Falcone...Paolo Borsellino...Don Giuseppe Puglisi...Peppino Impastato... I nostri eroi, quelli che si sono sporcati le mani nella nostra terra, troppe volte bagnata di sangue dall'ingiustizia. Loro, come tutti gli altri eroi, che sapevano perfettamente a cosa sarebbero andati incontro ma che non hanno avuto paura, che hanno preferito mantenere la loro dignità, che non sono scesi a compromessi e che sono morti liberi...anzi no, non sono mai morti: "Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe". Loro, accanto alle altre centinaia di vittime innocenti, che erano lì per caso mentre si incrociavano i fuochi di clan rivali. Ma la mafia non ha rispetto per niente e per nessuno, la mafia non ha valori, la mafia non merita nemmeno aggettivi: fa schifo e basta!
Giunti in piazza del Plebiscito le parole dei 500 familiari delle vittime, degli esponenti di "Libera: associazioni, nomi e numeri contro le mafie" che ha organizzato la manifestazione e sotto la cui egida anche noi eravamo li. Nuovamente un discorso denso di ardore da parte di Don Luigi Ciotti, un altro uomo che non ha paura: "Alla mafia, alla camorra, al crimine dico: fermatevi, ma che vita e' la vostra? Ne vale la pena?" - "Alle banche lancio un appello: togliete le ipoteche dai beni confiscati alla mafia. Abbiamo il 36% dei beni confiscati sotto ipoteca bancaria - ha continuato - i Comuni non sono in grado di riscuotere, le associazioni tanto meno, e questi beni rischiano di andare all'asta. Chi se li riprende poi?". Una parola per tutte le parti in causa, con l'invito alla politica a muoversi in modo veloce, trasparente e concreto e alla chiesa, affinché ripudi in modo chiaro e diretto lo scempio mafioso: "Al matrimonio di Riina presenziavano 3 preti...", non c'è bisogno di commenti. Tutti coloro che sono collusi con la mafia, sono mafiosi a loro volta. Non basta tirarsi fuori e tentare di non assumersi responsabilità, non basta il non appartenere ad un clan per non essere mafiosi. La mafia è nascosta dietro ogni nostro silenzio davanti a tutti i soprusi, dai più piccoli ai più clamorosi, la mafia è nel nostro voto dato a uomini politici che si avvalgono di mentalità "mafiologiche", che barattano voti con promesse e favori di vario genere, la mafia è nel nostro sostegno negato ad amministrazioni che vogliono risollevare le nostre terre affossate dalla corruzione, la mafia è nel nostro volere ciò che è meglio per noi singoli e non per la collettività, scendendo a compromessi, la mafia è nel nostro chiudere gli occhi e fingere di non vedere. La mafia non si risolve nei volti e nelle opere di quei boss che più o meno spesso vediamo in televisione, catturati dalle forze dell'ordine. Le loro azioni partono da molto più in alto. Quasi mai vengono individuati i "veri" mandanti di molti delitti di mafia, quasi certamente questi veri mandanti sono nomi e volti noti a chiunque, sono persone ai vertici della società, che spesso hanno potere decisionale su cosa il popolo deve sapere e su cosa invece deve essere taciuto.
Forse posso accettare un mondo in cui c'è l'ingiustizia; non mi piace, ma lo accetto. Di certo non posso accettare un mondo in cui si muore perché si dice la verità. E così il mio cuore sussulta nel vedere Roberto Saviano salire sul palco per concludere la lettura dei nomi delle vittime e poi correre via con la sua scorta, solo perché lui ha avuto il coraggio di non tacere. No, questo non posso accettarlo, perché questo è colpa nostra e del nostro silenzio. Se tutti avessimo il coraggio di gridare la nostra indignazione e di schierarci a viso aperto contro questa gente infima che ha in mano il solo potere del terrore che noi stessi abbiamo loro conferito, Saviano e tutti gli altri coraggiosi che hanno scelto di non scendere a compromessi non avrebbero bisogno di scorta. Se anche noi scegliessimo di schierarci contro la mafia che ogni giorno, anche nel quotidiano ci assale, anziché voltarci dall'altra parte e dire: "questa non è davvero mafia", allora in quel momento stesso, la mafia verrebbe sconfitta. Possono infierire con la violenza, ma le pallottole non uccidono le idee. Io sono certa che la lotta non durerà per sempre, arriverà il giorno in cui le nostre coscienze intorpidite si risveglieranno; arriverà, presto o tardi, l'era in cui la libertà avrà il sopravvento, perché se la paura fa 90, la dignità fa almeno 180. Io non scendo a compromessi: una morte per la libertà vale più di una vita senza dignità.
Serena Cannizzaro
Snadir - Professione i.r. - lunedì 23 marzo 2009