Congedo per dottorato di ricerca: la Cassazione fa fare un ulteriore passo indietro ai precari
L’aspettativa retribuita in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca, su cui si erano pronunciati favorevolmente il Tribunale di Busto Arsizio e, successivamente, la Corte d’Appello di Milano, attribuendo il diritto a un insegnante precario di usufruire del congedo straordinario per dottorato di ricerca ai sensi dell’art. 2 della legge 13/8/1984 n. 476, come modificato dall'art. 52 della legge n. 448 del 2001, è stata portata all’attenzione della Corte di Cassazione.
I Giudici di primo e di secondo grado avevano richiamato, a fondamento della propria decisione, il principio di non discriminazione fra assunti a tempo indeterminato e lavoratori a termine, evidenziando anche che l'interesse perseguito dalle norme sul congedo per ragioni di studio non è quello dell'amministrazione ma è riconducibile a diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale.
Il Miur decise di portare la questione all’attenzione della Corte di Cassazione evidenziando che l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, comporta che l'interessato in aspettativa conservi il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza ma a condizione che dopo il conseguimento del dottorato il rapporto di lavoro prosegua per almeno due anni, condizione, questa, in difetto della quale è dovuta la restituzione degli importi corrisposti.
La norma, quindi, secondo il Ministero, nella parte in cui prevede il diritto anche alla conservazione del trattamento economico, non è compatibile con il rapporto di lavoro a tempo determinato, considerato che tale rapporto contrattuale scade a fine anno scolastico.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3096/2018 ha ritenuto di dover condividere questa posizione; in particolare ha ritenuto che il diritto allo studio del pubblico dipendente debba essere contemperato con l'interesse della pubblica amministrazione, che eroga un emolumento economico (la borsa di studio o la retribuzione) nella prospettiva di fruire delle conoscenze acquisite dal dipendente grazie agli studi post-universitari.
Per ottenere tale risultato l’Amministrazione statale consente, attraverso il congedo per il conseguimento del dottorato, la sospensione degli obblighi contrattuali del lavoratore. Tali obblighi contrattuali, nel caso del docente a tempo determinato, sono annuali e non coprono quindi l’ulteriore periodo indicato dalla norma.
È innegabile che la sentenza della Corte di Cassazione evidenzi ancora una volta un vuoto normativo di notevole importanza, in quanto il precariato non è una condizione temporanea ma, purtroppo, una condizione che perdura nel tempo e che, pertanto, rischia di privare il lavoratore gli diritti fondamentale quali il diritto allo studio e alla formazione.
Un motivo in più per sollecitare le forze politiche a dire basta a qualsiasi forma di precariato e affinché si ponga un impegno preciso di revisione della normativa vigente.
Snadir - Professione i.r. - 2 novembre 2018, h.13,09